“Dopo l’infanzia. Autismo e politica”

Forum Internazionale sull’autismo

7 aprile 2018

 

IVAN: Per il 3° forum sull’autismo che organizza la Escuela lacaniana de psicoanálisis abbiamo scelto un tema fondamentalmente politico. Che succede con l’autismo aldilà dell’infanzia, nell’adolescenza e l’età adulta?

NEUS: In effetti, si tratta di un tema fondamentalmente politico, sebbene potrebbe sembrare di carattere diverso. È politico, in primo luogo, perché mette in evidenza i processi di segregazione al cuore della nostra società. Così, è frequente trovare programmi e risorse destinati a bambini che sono stati diagnosticati come autistici, e di fatto siamo testimoni di come l’interesse per l’autismo nell’infanzia non smetta di crescere. Ciò nonostante, quando questi soggetti arrivano all’adolescenza, e poi alla vita adulta, non esiste per loro un discorso che li accolga. Il che implica che quello che la società può offrire a questi soggetti e alle loro famiglie è francamente limitato.

L’autismo è una diagnosi che si riferisce fondamentalmente all’infanzia. I programmi esistenti, le risorse, la presenza sociale, tutto ciò fa riferimento quasi esclusivamente all’infanzia. Ma quando e dove si parla di autismo nella vita adulta? Per tutto questo il nostro forum vuole affrontare esattamente l’interrogativo che tu proponi: che succede con l’autismo aldilà dell’infanzia. Noi abbiamo alcune idee a partire dalle quali proporremo il nostro programma, ma speriamo che questo incontro ci permetta di rispondere a questa domanda da molteplici prospettive. Per esempio dalla prospettiva della diagnosi, dei farmaci, della clinica, delle risorse sociali, infine, dei progetti di vita che la società è capace di offrire a questi soggetti e alle loro famiglie. Tutte queste questioni sono politiche perché portano in primo piano il modello di società che vogliamo. Hanno a che vedere con l’etica, con la legge, con la distribuzione delle risorse.

NEUS: Ci siamo posti una prima questione: L’autismo infantile si definisce nella psichiatria che segue i manuali più in uso come il DSM a partire da alcuni items, in maniera tale che la diagnosi si fa a partire da test. Tuttavia non sono sicura che i test possano essere impiegati a partire dalla pubertà. Qual è la tua opinione? Quali cambiamenti introduce la pubertà che modifica la definizione di autismo dell’infanzia?

IVAN: Certo, la pubertà manda all’aria le migliori intenzioni di coloro che volevano incasellare in un test affidabile di DSA coloro che erano stati bambini affetti da autismo. Direi di più, la pubertà nell’autismo molte volte fa presente, per i professionisti ma soprattutto per le famiglie, che quello che si era preparato per aiutare quel bambino, se non ha funzionato in quel momento ormai non servirà. L’insistenza dell’adulto fallisce, occorre quindi inventare altre cose.

I test diagnostici sono disegnati in funzione di un’idea di normalità di ciò che un è bambino, però un bambino che, si spera, arrivi a essere un adulto a pieno diritto. Quando il passaggio attraverso la pubertà ci rende evidente che il nucleo autistico che resiste in quell’adolescente non sembra ormai modificabile, gli ideali sul suo futuro cadono, le aspettative si riducono e ormai non possiamo più guardare da un’altra parte.

Certo, alcuni adolescenti autistici hanno conquistato una stabilità che permette loro di arrangiarsi, per esempio, con i cambiamenti nel loro corpo, nella loro immagine e nelle loro maniere di ottenere soddisfazione. Però per altri, al contrario, tutto questo fallisce una volta o l’altra, oppure il loro modo di fare senza l’identificazione ad alcuna immagine dell’adolescenza risulta insopportabile per gli adulti che stanno con loro.

NEUS: In una conferenza che Jean-Pierre Rouillon ha tenuto quest’anno a Barcellona, ha segnalato in maniera molto opportuna che la sessualità è la forma con cui alcuni umani trattano l’irruzione del godimento che esplode nei loro corpi a partire dalla pubertà. Gli autistici sono soggetti che non contano sulla sessualità per poter fare fronte a questo godimento e devono quindi ricorre ad altre forme di trattamento. Questa maniera di porre la questione è effettivamente interessante. Per cominciare, prendere la prospettiva del godimento suppone, in primo luogo, di partire dalla nozione che non esistono forme di godimento migliori di altre. Perciò, l’autistico non è in difetto di fronte a una supposta normalità. In ogni caso, ha maggiori difficoltà dato che non può ricorrere a soluzioni prêt-à-porter e deve costruirsene una su misura. Formulare ciò che succede al soggetto a partire dalla pubertà rispetto alla difficoltà di vivere in un corpo che esige la soddisfazione, presuppone il fatto di cogliere che non c’è modo di arrivare alla vita adulta con una certa stabilità se l’autistico non ha trovato una maniera di funzionare nel mondo sufficientemente consistente che gli permetta di avere dove appoggiarsi. Per questo, in questa tappa possono verificarsi crisi soggettive realmente devastatrici. Inoltre qui possiamo vedere perché quei bambini che sono stati più o meno docili alle tecniche rieducative dell’infanzia possono entrare in gravi crisi, dato che quelle tecniche non servono per trattare ciò che succede loro nel corpo.

IVAN: È un tema fondamentale questo, dato che per molti adolescenti le tecniche rieducative non possono applicarsi se non con costrizione, con una volontà ferrea di sostituire i comportamenti che ha il ragazzo con quelli che l’adulto vuole che abbia. Dunque non è possibile pensare che il soggetto possa fare proprie le risorse che gli offre l’adulto se quello a cui è obbligato è difendersi da tale appiattimento. Ma c’è qualcosa di più. Se riducendosi l’imposizione dell’adulto sul soggetto scomparisse immediatamente la sua posizione difensiva e egli potesse così accettare l’adulto come un punto di riferimento, tutto sarebbe più facile. Il problema è che l’autistico incorpora questa risposta difensiva, per esempio infliggendosi dolore nel corpo, e la generalizza di fronte a qualsiasi imposizione che venga dalle persone che lo circondano (l’annuncio della conclusione di un’attività), dall’ambiente (il tramonto) o dal proprio corpo (la sensazione della fame o un dolore di pancia), per citare alcune situazioni abituali. Di fronte a questo, il nostro margine per aiutarli risulta ridotto e quello che è sicuro è che a maggiore imposizione dell’adulto corrisponde maggiore auto imposizione dell’autistico sul suo corpo.

NEUS: Voglio aggiungere ancora qualcosa in più. Sebbene le invenzioni che il soggetto può raggiungere sono fondamentali, non possiamo dimenticare che tali soluzioni agli occhi degli altri possono risultare abbastanza modeste, e anche quanto di più incomprensibile per il senso comune. Dovremmo tenere sempre presente che quando miriamo all’invenzione non possiamo fare riferimento unicamente a quelle che godono di prestigio sociale, per esempio l’autistico che riesce a trasformarsi in un buon musicista. A volte sono le più stravaganti: il ragazzo che si sostiene per mezzo di domande senza risposta e insistenti, quello che si accompagna con le maschere e la musica dei film Disney. Inoltre, le soluzioni trovate non sono mai definitive, non arrivano mai a ottenere il valore di una metafora del corpo che esperisce. Per questo devono ripetersi incessantemente, il che implica che coloro che accompagnano l’autistico devono essere disposti alla ripetizione infaticabile e mai definitiva della soluzione, a volte, straordinariamente fragile.

IVAN: Quel che dici non è cosa da poco.

NEUS: Effettivamente. Questo implica che per questi soggetti devono esserci alcuni altri disposti a ciò. Questo si ottiene solo a partire da un lavoro clinico molto consistente. Non è per niente sicuro che ciò sia garantito per loro. Per questo, troppo spesso il trattamento farmacologico viene al posto di un fallimento e l’aggressività degli adulti verso questi soggetti – che si ascolta in alcune istituzioni, soprattutto residenziali – la risposta di fronte a ciò che non possono sopportare, né loro né la direzione clinica dell’istituzione.

IVAN: In questo forum tratteremo la questione dell’aggressività. Anche per questo crediamo che sia un forum fondamentalmente politico. L’età adulta pone alcune difficoltà che sono raccolte nella Convenzione sui diritti delle persone con disabilità approvata dall’ONU nel 2006. Lì si è riconosciuta l’importanza di dare a queste persone “l’opportunità di partecipare attivamente nei processi di adozione di decisioni su politiche e programmi, compresi quelli che li interessano direttamente”. Nei casi di soggetti nei quali l’autismo li tiene lontani dal far valere questo diritto, come diamo valore a ciò che più conviene a un autistico adulto se i suoi modi di risposta molte volte non sono quelli che siamo capaci di ascoltare?

NEUS: Cosa ci aspettiamo da questo Forum?

IVAN: Con questo Forum cerchiamo di rendere visibile una realtà che fa disperare le famiglie, mette con le spalle al muro le istituzioni e i professionisti che vi lavorano, e che è trascurata politicamente. Vogliamo dare parola all’angoscia che non dispone oggi di vie per essere trattata e convocare i nostri politici a prendere la misura di ciò che è in gioco e di ciò che ancora c’è da fare.

Gli psicoanalisti sono in condizione di elaborare un discorso su ciò che succede con l’autismo aldilà della diagnosi in uso, una volta che i soggetti attraversano la pubertà o arrivano all’età adulta con un autismo che prende forme diverse nell’autismo deciso – come ti ho sentito nominarlo in un’occasione -, nella Sindrome di Asperger, nella schizofrenia, nella debilità cognitiva, in definitiva nel modo di stabilizzazione di ciascun soggetto.

Conteremo sulla presenza di psicoanalisti di tutto il mondo, membri dell’Associazione Mondiale di Psicoanalisi, così come di professionisti che sostengono il proprio lavoro nel campo dell’educazione, della salute mentale, delle istituzioni diurne e residenziali, e di familiari, che conoscono in prima persona i limiti con i quali si imbatte l’adolescente o adulto autistico.

Traduzione Laura Pacati